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mercoledì 29 marzo 2017

Gatti buongustai per... il Gaudio di Silvia Brigitte, regina d'arte culinaria



Silvia Brigitte Del Gaudio

INTERVISTA A SILVIA BRIGITTE DEL GAUDIO, autrice della pagina di delizie "Fusa in cucina"


D. - Buonasera Silvia, desidero prima di tutto ringraziarla per avermi concesso questa intervista.
Nata in Francia, un nome in parte francese e un aspetto che mi ricorda le fanciulle di Renoir.
Ci vuole raccontare brevemente la sua vita?
R.: Buonasera Annalisa grazie a lei di aver valutato la mia storia interessante da doverle rilasciare un’intervista. In effetti, alla nascita entrambi i miei nomi erano francesi mi chiamo Sylvie e Brigitte per un vezzo di mio padre cui piacevano due artiste francesi, molto in voga negli anni ’60, che erano la Vartan e la Bardot. Ritornata in Italia all’atto della registrazione, il primo è stato tradotto in Italiano e il secondo è stato lasciato in francese. In Francia ho vissuto circa cinque anni, ma mi sono bastati per innamorarmi perdutamente di quella che considero la mia terra alla stregua dell’Italia. Ci sono tornata da adulta diverse volte nel corso degli anni, ogni volta che ho potuto e ho cercato di conoscerne i posti più belli. Il mio sogno nel cassetto resta tornarci, magari a vivere, in un bel mas provenzale con una stupenda vista su un campo di lavanda, ma con un marito Irpino doc, attaccato altrettanto alla sua terra, credo che resterà solo un sogno!

D. - Due grandi passioni: la cucina e i gatti. Cos'hanno in comune?
R. : In modo diverso, ma hanno molto in comune. In effetti per me cucinare e, logicamente mangiare, equivale allo stato di benessere che prova un gatto quando fa le fusa e al piacere che prova un umano a riceverle. Vivo con dieci di loro ed ho imparato ad apprezzare questi felini, considerati magici dalla notte dei tempi, perché sono stata stregata dal loro essere indipendenti, eleganti, affascinanti, difficili da conquistare ma, contrariamente a quanto si pensi, molto amorevoli quando si è acquisita la loro fiducia.

D. - Ha creato una pagina Facebook molto accattivante, intitolata “Fusa in cucina": atmosfere romantiche, porcellane decorate, tovaglie ricamate fanno da sfondo a pietanze e dolci curati nell'estetica e, immagino, anche nel gusto; per lei è indispensabile che un alimento venga presentato accompagnandolo con cose belle?





R.: Certo per me vale il famoso detto “anche l’occhio vuole la sua parte”. E poi le porcellane vintage inglesi, pizzi e merletti della nonna fanno parte di un’altra delle mie passioni. Ispirata dalla parte francese che è in me, cerco di curare la presentazione dei piatti, come fanno gli chef francesi! Adoro i dolci, anche se non disdegno i piatti salati, mi piace sperimentare ma, nello stesso tempo, sono legata ai piatti della tradizione irpina, che preparo spesso.  
"Fusa in cucina", 
D. - È stata coinvolta nella terza edizione del concorso “Avellino in versi", ideato da Maria Ronca, per quanto riguarda il rinfresco che verrà offerto ai presenti: è previsto che lei prepari qualcosa? Ha già pensato a cosa preparerà?
R. : No sinceramente non ci ho ancora pensato anche perché la cucina, come tutto ciò che faccio, è frutto d’ispirazione quindi vedrò al momento.

D. - Segue con passione gli incontri culturali della associazione di promozione sociale “Il bucaneve", anche questa creata da Maria Ronca, che ad Avellino riunisce poeti e artisti vari: lo fa per stare con gli amici o perché ama anche altre forme artistiche, oltre quella culinaria? Lei crede che l'arte abbia il potere di migliorare la società?
R.: Sicuramente stare insieme con altre persone con cui si hanno interessi in comune è molto piacevole. Amo la poesia, anche se non scrivo, e amo molto la pittura specie quella di Claude Monet che con le sue ninfee, mi ha sempre affascinato molto, tanto da portarmi, in una tappa dei miei viaggi, proprio a Giverny, dove ci sono ancora la sua casa e il suo giardino per vedere da vicino la bellezza che lo ispirava nel dipingere i suoi quadri. Credo che per amare l’arte bisogna essere dotati di molta sensibilità e, quindi, questa caratteristica se applicata nella vita di tutti i giorni potrebbe sicuramente migliorare la nostra società, spesso superficiale ed incapace di apprezzare la bellezza che ci circonda. Io spesso resto rapita da un tramonto, da un fiore, dalla bellezza di un paesaggio e mi sento ricca nel poter godere semplicemente di queste meraviglie che non costano nulla, ma donano grandi emozioni.

D. - Per concludere: c’è un piatto che le riesce particolarmente bene, per il quale ha un segreto che lo rende speciale?
R. L’ingrediente fondamentale in ogni gesto della vita è l’amore, credo che possa rendere speciale ogni cosa!  Adoro cucinare per chi amo e quindi quando lo faccio ci metto questo semplicemente!  Nessun segreto o pozione magica, quindi,  solo passione e amore che spero di trasmettere a chi gusta i miei piatti, e, se non dovessero piacere, si può sempre migliorare, resta l’essere stata felice nel prepararli e si sa la felicità di questi tempi è molto rara!


-Grazie della sua cortese disponibilità!
-Grazie a lei, spero di essere stata all’altezza delle aspettative!




lunedì 2 gennaio 2017

"La natività al centro", presepi artigianali in mostra ad Avellino

Gerardo Melillo, curatore della mostra di presepi
"La Natività al centro"


Intervista a Gerardo Melillo, tra i curatori della mostra di presepi artigianali “La Natività al centro", in esposizione al duomo di Avellino dall’11 dicembre 2016 all’8 gennaio 2017, intitolata alla memoria di Mariano Cesa.

Buonasera. Desidero per prima cosa fare i miei complimenti a lei e ai suoi collaboratori per avere creato questa bella mostra  dedicata ai presepi irpini.
Come è quando è nata la passione per il presepe e l'idea della mostra?

La passione per il presepe la porto con me sin da piccolo, ricordo che ogni anno, a Natale, insieme a mio fratello più grande, andavo a raccogliere il muschio in campagna per adagiarlo poi sul presepe che tenevamo in casa. Ricordo che facevamo le casette con le scatole di cartone, le dipingevamo e le posizionavamo tutte intorno alla grotta, i pastori di terracotta napoletana li acquistavamo di anno in anno, all'emporio sotto casa, erano bellissimi, sembrava quasi  si muovessero tanto erano posizionati con cura poi, in aggiunta,  le pecorelle che mi emozionavano particolarmente. Insomma a Natale si costruiva il presepe che acquisiva maggiore vigore quando in casa si riceveva la visita degli Zampognari che suonavano delle melodie bellissime, con addosso gli abiti tipici dei pastori.
L'idea della mostra nasce nel 2006, ero Presidente della Circoscrizione del Centro Storico di Avellino, ricordo che un giorno vennero in sede tre persone con la passione del presepe, nel riceverli e nell'ascoltare le loro storie fui colpito dalla loro passione, risvegliarono in me tanti ricordi e insieme concordammo che avremmo dovuto organizzare una mostra per la città di Avellino. Diedi loro tutto il supporto necessario individuando nella Cripta di San Biagio il luogo ideale per l’esposizione. Grazie al Parroco, don Mario Famiglietti, al Priore dell’Arciconfraternita di San Biagio, al consiglio circoscrizionale ed ai tanti presepisti che riuscimmo a mettere insieme per l’occasione, organizzammo una mostra di ottimo livello, sia per contenuti artistici  che per partecipazione. Da quell’anno in poi nulla più ha spezzato il nostro legame e, ancora oggi, pur con mille sacrifici,  riusciamo  a creare per la città un luogo suggestivo da visitare, fatto di tradizione e di passione.

Chi sono gli autori che espongono? Chi collabora al progetto?

Gli autori che espongono sono per la maggior parte irpini, c’è qualcuno di Napoli e anche della provincia di Salerno, numerosi della città di Avellino e dei paesi limitrofi.
Il progetto è ormai consolidato, eccezion fatta per la location, che può variare di anno in anno. Tutto il lavoro organizzativo, di preparazione, di allestimento e di recupero delle opere artistiche è curato esclusivamente dai componenti dell’associazione i quali con i propri mezzi e risorse proprie danno vita a questa iniziativa che nulla ha da invidiare ad altre iniziative simili, presenti lungo tutto il territorio nazionale.
Molti dei soci espongono proprie opere in tanti luoghi, a Napoli e nei paesi del suo circondario tanto per citarne qualcuno, fino in Umbria a Città Di Castello etc. etc. 
Nel nostro piccolo abbiamo potenzialità enormi, in mezzo a noi ci sono scultori, artisti della scenografia, sarte e sarti che sanno cucire  vestiti in seta per i  pastori ispirati al 700 napoletano. Tutte queste qualità ci consentono buone capacità d’azione, discreta autonomia e tanta dimestichezza nell’approntare sale con gusto e competenza. 

Come mai dedicarsi alla costruzione dei presepi e non ad altre forme di modellismo?

Il presepe rappresenta la nascita di Gesù, quando lo si costruisce si tiene conto innanzitutto dell’aspetto religioso, il sentimento che interviene  è difficile da descrivere. La gioia di realizzare un opera di arte presepiale, la riproduzione in piccolo di scene di vita reale secondo i canoni del presepe napoletano e/o quello storico assumono un fascino particolare cosi come la relazione che si stabilisce tra chi realizza l’opera e l’opera stessa .
Fare un presepe, per me , oltre a  questo è anche un modo per ritrovarmi intimamente , per esprimere tutta la mia creatività.

Secondo lei costruire un presepe o fare un'attività di modellismo aiuta a meditare? È rilassante?

Ho trascorso molte ore a costruire presepi e di tutte le misure, utilizzando pastori di diverse dimensioni. Posso senz’altro affermare che tale attività per me è risultata rilassante e di aiuto alla meditazione, durante il tempo dedicato a tale attività non vi è stato mai, pur stando in piena solitudine, e dico mai, un solo momento di tristezza , anzi gioia allo stato puro ed empatia con l’opera a realizzarsi .  I lavori manuali  aiutano a stare meglio e la costruzione di un presepe aiuta anche spiritualmente.

Quanto tempo le è occorso per costruire i suoi presepi presenti nella mostra?

E’ difficile stabilire quanto tempo si impiega per costruire un presepe, il motivo è presto detto, vicino ad un presepe non si finisce mai di operare. Comunque orientativamente un anno e mezzo per tutti e tre i pezzi. Quando si lavora per passione e non per fare commercio si è più meticolosi , si   ricerca la massima cura tentando la via della perfezione. Ogni presepe artistico, immaginato , pensato e costruito con amore , emana un fascino particolare tale da renderlo unico.

La mostra sta riscuotendo un discreto successo di pubblico e critica. È ubicata nel cuore del centro storico di Avellino e ormai ha molti anni di vita; perché, secondo lei, riscuote tanto successo?

La mostra ha acquisito negli anni una tradizione consolidata, di anno in anno aumentano i visitatori anche grazie alla varietà di opere sempre nuove e suggestive.
Riscuotiamo tanto successo perché nel nostro piccolo riusciamo a trasferire emozioni. La nostra capacità di relazione e la passione che teniamo fanno da traino per un evento che a Natale è sempre atteso.

Lei e i suoi collaboratori porterete la mostra fuori Avellino? Pensa che l'interesse verso di essa sia legato all’aspetto religioso o che possa avere altre motivazioni che consentano un ampliamento del pubblico? Per esempio, pensa che i ragazzi possano essere attratti da questo evento?

La mostra è della città e quindi tale rimane, non abbiamo alcuna intenzione di   spostarla. Certo è che nessuno ci vieta di partecipare e/o collaborare all’allestimento di altre mostre in altri territori, come del resto già facciamo e faremo ancora.
I rapporti dell’associazione e di ogni singolo socio sono tali da consentire uno scambio continuo di opere, esperienze e buone pratiche con altri che come noi hanno a cuore la tradizione del presepe ed il trasferimento di tale passione alle future generazioni. Quest’anno in particolare abbiamo avuto il piacere di avere in mezzo a noi qualche giovane in più, altri si sono mostrati interessati durante le visite effettuate. Ritengo di poter affermare che i ragazzi sono comunque attratti da tale arte, non so in che misura, certamente sta a noi  fare in modo che accada nella maniera più ampia possibile, magari organizzando dei corsi e perché no affidando loro, ai più meritevoli, anche ruoli importanti nella gestione.

Avrebbe, da cittadino e senza fare riferimento a gruppi politici, qualche suggerimento per la valorizzazione delle risorse del capoluogo?

All’ultima domanda non rispondo, volutamente e non per mancanza di idee. Colgo l’occasione per ringraziarla personalmente per l’interesse mostrato nei miei confronti e per le parole di gradimento espresse per la nostra iniziativa. Spero di non aver disatteso le sue aspettative circa le risposte date e che magari in futuro si possano sviluppare altre opportunità come questa  per tentare di approfondire ulteriormente questi temi.
La saluto cordialmente e le invio i miei migliori auguri per il nuovo anno, sia per tutti migliore.

Grazie a lei della sua disponibilità e buone feste!

mercoledì 30 novembre 2016

Non mi do per vinto e vi parlo d'amore e... algoritmi. Alessio Tropeano racconta il suo romanzo d'esordio

Alessio Tropeano

di Alessio Tropeano


La copertina di "Finché Parkinson non ci separi", di Alessio Tropeano







  
Buonasera, dottor Tropeano.
Le dico subito che il suo libro “Finché Parkinson non ci separi”, 2016, Albatros Edizioni, mi ha sorpreso: mi aspettavo che trattasse estesamente della malattia di Parkinson, ma ho trovato un romanzo amoroso a tinte gialle, al quale il Parkinson fa da sfondo. Era precisamente questa la sua idea, o è venuto fuori così in corso d’opera? Può delinearne brevemente la trama?

  Salve dottoressa, io non sono un neurologo e nemmeno un medico. Non ho, perciò, le competenze necessarie per trattare in modo rigoroso un tema così specifico. Lei ha ragione quando colloca il mio libro nel genere letterario della narrativa e dunque effettivamente il mio libro è un romanzo che parla di amore, speranza, apparenti tradimenti, esaltazione della bellezza femminile. Dunque nessuna pretesa di fare una lectio magistralis sul Parkinson.
Le idee, come lei sicuramente concorderà, mutano ed evolvono. Questo è capitato anche mentre scrivevo ma, nello specifico, solo entro certi limiti.
Io narro di fatti , dove il protagonista insieme agli altri personaggi vive momenti di vita quotidiana.
Parlo del disorientamento di uomini e donne , di amore, e soprattutto di speranza. Accanto al protagonista, decisamente figura forte e determinata, anche se un po' tormentato, e alla sua ricchezza interiore, ruotano personaggi con la loro personalità talmente viva che sembrano reali. In particolare le figure femminili di cui ho esaltato la bellezza, la naturale eleganza e la loro intelligenza. Non a caso proprio  una donna rappresenta la ragione di speranza del protagonista.  E qui mi fermo per non creare l’effetto “spoiler”.

  Dalla prefazione si evince che il libro è parzialmente autobiografico. Il fatto che la malattia sia appena accennata, corrisponde alla sua esigenza di ignorarla e superarla?

  Il libro non è una autobiografia e mi dispiace per coloro che immaginavano il mio come un romanzo rosa costruito su pettegolezzi. Oltre ad essere ingiusto e ingiustificato sarebbe stato una caduta di stile e in ogni caso qualcosa che non mi appartiene. Ovviamente questa precisazione non è rivolta a lei , persona colta e raffinata. Una malattia non può essere ignorata e lei lo sa bene. Superarla, una fortuna. Conviverci una necessità.

  Se ho ben capito, il suo disturbo risale a pochi anni orsono. Ci può accennare qualcosa su come sia insorto e quali problematiche abbia comportato?

  La malattia mi è stata diagnosticata nel 2008. Avevo difficoltà a muovere il mouse nella mia attività lavorativa. Sono laureato in Informatica ed esperto di business intelligence.
La conseguenza che maggiormente mi ha toccato è stata la successiva separazione.

  Aveva già in mente il nucleo di questo romanzo prima di ammalarsi o lo ha concepito successivamente?

  Il romanzo è stato scritto e pubblicato nell'anno in corso. Può darsi che inconsciamente fosse già in una fase embrionale, ma sinceramente penso che il tutto sia una conseguenza della malattia.

  Attraverso questo libro si propone di lanciare un messaggio?

  Certamente. Come il protagonista non si rassegna, né si dà per vinto e soprattutto non smette di sperare confidando nella ricerca scientifica affinché si trovi un rimedio definitivo ai mali dell’uomo, così pure si adopera per ricostruire un rapporto che sembra irrimediabilmente compromesso.
Dunque un messaggio di speranza, un invito a lottare, a coinvolgere e a farsi coinvolgere. Nel bivio tra la strada che porta alla disperazione e quella che porta alla speranza, scegliere quest’ultima.

  È al suo romanzo d’esordio. Ha altri progetti?

  Questo è il mio primo romanzo.
Si ho altri progetti. A lei li posso svelare, anche in virtù della sua simpatia.
Ho scritto un altro romanzo che è stato valutato positivamente dalla commissione esaminatrice della casa editrice e per la qual cosa sto valutando la proposta editoriale. In più molto probabilmente sarà pubblicato un lavoro relativo ad un mio studio sugli algoritmi complessi nell’ambito della Teoria dell’informazione con particolare attenzione alla costruzione di grafi di broadcast. Dunque qualcosa che riguarda la mia formazione scientifica.
Ho scritto, infine, soggetto e sceneggiatura per un cortometraggio, ma mi creda su questo al momento non posso dirle altro.

La ringrazio della sua disponibilità e le auguro tanta fortuna nella vita artistica e privata.

Grazie a lei dottoressa, è stato un piacere.